IL TEMPO: IL BUSINESS D’ORO DEI VESTITI USATI

Il Tempo – edizione online- dedica un’inchiesta al riciclo degli indumenti usati e alla cooperativa New Horizons.

È oro quello che non luccica, come gli abiti di seconda mano che diventano un affare a sei zeri nel momento in cui finiscono nei cosiddetti «cassonetti gialli», in totale 1.800 in città che in molti se non tutti utilizzano per disfarsi di capi vecchi o considerati non più utilizzabili.

Circa l’80% del materiale recuperato, infatti, rientra nel circuito di mercato – destinato ai negozi locali, all’esportazione piuttosto che alle aziende specializzate nella rifilatura – mentre le quote restanti, tra il 5 ed il 10%, si dividono tra beneficenza e scarto da smaltire in discarica. Il volume d’affari, spiegano i numeri, lievita assieme alla crisi che è anche la ragione per cui, in prossimità dell’aggiudicazione del nuovo appalto, le coop che per conto di Ama si occupano della raccolta e del trattamento di questi prodotti che restano di fatto rifiuti, mettono in guardia rispetto agli «appetiti» imprenditoriali che interessano il settore.

 

 

IL BUSINESS A SEI ZERI

A Roma il servizio di raccolta, gestione e recupero degli abiti usati è stato affidato da Ama, tramite bando aggiudicato nel 2008 e prorogato di sei mesi in sei mesi, ai consorzi Alberto Bastiani (che opera attraverso le cooperative Lapemaia ed Ermes) e Il Solco (con le coop Agape, Rau e New Horizons), una cinquantina di addetti compresi soggetti appartenenti alle fasce svantaggiate che, nell’ottica del bando, garantisce la finalità sociale dell’operazione. Nessun costo a carico del pubblico, al contrario – al fine di incentivare la raccolta – alle coop spetterebbe il pagamento di una penale, 10 euro a tonnellata, nel caso in cui non si dovessero raggiungere i quantitativi previsti, ma non è mai successo e il rischio non si pone nemmeno per il futuro perché la materia prima non manca. Dal 2008 ad oggi l’incremento di abiti recuperati dal cassonetto è stato evidente, 3.070 tonnellate annue contro le 9.691 di fine 2013, più del doppio, in particolare in occasione dei cambi di stagione si parla di almeno 900 tonnellate mensili. Le stesse coop hanno stimato, partendo dal totale di 1.800 cassonetti gialli posizionati su tutta Roma, un «rendimento» medio di circa 1.200 euro annui per ciascuno, cioè più di 2 milioni di euro complessivi, fatturato che si gonfia lungo la filiera.

 

 

DALLA STRADA AL NEGOZIO

Scarpe nuove, cuscini, bigiotteria, libri, nei contenitori gialli si trova di tutto: «Sono più generosi i quartieri periferici – spiega Roberto di New Horizons – come Don Bosco dove abbiamo raccolto 9 sacchi, la gente magari utilizza indumenti che durano meno e se ne disfa, mentre a Corso Francia recuperiamo meno quantità, ma magari di marca». Capi Armani, Max Mara, che infatti ritroviamo nel mercatino allestito dalla coop al quartier generale di via Tuscolana: camicetta 50 cent, scarpe «buone» col tacco 2 euro, per la divisa militare si arriva a 3. Dopo la raccolta si procede allo smistamento e all’igienizzazione nei centri di selezione che in zona sono due, sulla Prenestina Vecchia e a Cisterna di Latina, e poi comincia la «seconda vita»: il 15% della «crema», come gli addetti chiamano gli indumenti in buone condizioni, magari firmati, vengono commercializzati in Italia nel circuito di negozi o bancarelle dell’usato, un 45% che corrisponde alla seconda, terza scelta viene dirottato all’estero, Africa, Sud America, India e nell’Est Europeo, 25% pezzame rivenduto al comparto industriale (imprese di pulizia o meccaniche), infine scarto o beneficenza. «Non si butta via nulla – continua Roberto – ormai mettono il tessile anche nelle pavimentazioni, come al parco giochi coi mattoni “di gomma” per i bambini, resto convinto che sia assurdo chiamarli rifiuti».

 

 

LA GUERRA DEGLI STRACCI

Com’è immaginabile, le cooperative che ormai da anni gestiscono l’affare temono che, col nuovo bando che Ama ha già pubblicato di cui è prevista l’aggiudicazione per giugno, si scardini un sistema già rodato. C’è infatti una differenza che qualcuno reputa sostanziale, e che del resto dà anche l’idea di quali siano gli interessi, che distingue questa gara dalla precedente, cioè l’importo economico. Mentre oggi il pagamento dell’occupazione di suolo pubblico per i cassonetti è in capo ad Ama, che ogni anno corrisponde al Comune di Roma circa 20 euro, nel nuovo bando si prevede che gli invitati, anche in questo caso tutte cooperative, propongano un’offerta, base d’asta 30 euro all’anno per ogni contenitore. «È evidente – incalzano i diretti interessati – che dare trenta punti all’offerta economica anziché privilegiare l’aspetto di inclusione sociale ed eticità senza mettere un tetto massimo di offerta incentiva chi ha appetito a offrire di più, anche 100 euro per un cassonetto». Ciò che, dicevamo, confermerebbe l’importanza anche economica di entrare nel giro.

Erica Dellapasqua

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