C.A.R.A. CASTELNUOVO DI PORTO: LA DIGNITÀ NEGATA PER LEGGE

Il mondo della Cooperazione, a partire dalla Cooperativa Prassi e Ricerca, si è già mobilitato per collaborare con la task force istituita per far fronte all’emergenza socio-sanitaria. Sono in corso gli incontri con i singoli individui e i nuclei familiari che, dopo la chiusura del centro, non hanno più una dimora.
Come dichiarato anche dalla Regione Lazio “Saranno valutate le condizioni di salute e la ricollocazione abitativa, tenendo in considerazione la risposta di molti cittadini che hanno dato la loro disponibilità ad accogliere le persone e le famiglie rimaste senza un alloggio“.

 

Di seguito il comunicato di Legacoop Lazio, sulla vicenda relativa allo sgombero del C.A.R.A. di Castelnuovo di Porto.

 

A poco più di un mese dalla conversione in legge del “Decreto Sicurezza”, il C.A.R.A. di Castelnuovo di Porto, il secondo più grande d’Italia, è in via di chiusura. Da martedì 22 gennaio inizieranno infatti gli spostamenti di 300 rifugiati in tante regioni italiane, a cui si aggiungeranno le uscite obbligatorie dei titolari di protezione umanitaria, ormai senza più diritto all’integrazione prevista dalla seconda accoglienza. In un colpo solo saranno spazzati via non solo anni di impegno e buon lavoro per un’accoglienza fatta di progetti educativi, inserimento scolastico, corsi ricreativi, iscrizioni alle associazioni sportive del territorio, collaborazioni volontarie e lavori socialmente utili, portata avanti dal Comune insieme alla Prefettura di Roma, ma andranno persi anche 107 posti di lavoro dei dipendenti del gestore del Centro.
Inizia così il comunicato del Comune di Castelnuovo di Porto, salito alla ribalta delle cronache perché teatro del primo grande sgombero successivo al “Decreto Sicurezza”, approvato dal presente Governo a fine 2018. Entro il mese di gennaio il C.A.R.A. chiuderà, gli ospiti saranno smistati negli SPRAR di altre regioni: questa la comunicazione giunta con appena 48 ore di preavviso al Comune.
Anche il blitz è scattato all’improvviso, con i militari a smistare i richiedenti asilo in partenza immediata da quelli che, almeno, avranno modo di congedarsi degnamente dalla comunità che li ha accolti. I titolari di protezione umanitaria, che non hanno più diritto all’accoglienza, sono lasciati in strada al gelo e sotto la pioggia.
Centinaia di persone, giunte nel nostro Paese in cerca di aiuto, hanno improvvisamente visto negata la propria dignità.
Donne, uomini e bambini trattati come nomi su una lista, come “incombenze” da smistare lungo la penisola. Non si sa dove andranno queste persone, come verranno suddivise, quali centri le accoglieranno, quale sarà il loro futuro. Non si sa che fine faranno quelli rimasti senza un tetto sulla testa e senza alcun supporto.
Tutto questo è inaccettabile: la “sicurezza” non si raggiunge con atti di forza, ma con seri ed efficaci progetti di inserimento e integrazione.
“Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Sempre che ci si ricordi, almeno in Italia, di garantire agli stranieri quelle libertà democratiche sancite dalla nostra Costituzione.

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