IL CORRIERE NAZIONALE: Nessun futuro per l’edilizia nel Lazio: dal 2008 persi 28mila posti di lavoro – Intervista a Maurizio Giachi, Presidente ANCPL Lazio

«La situazione è al limite. Mancano politiche di sviluppo, investimenti e siamo ingabbiati dal patto di stabilità». Così il presidente delle cooperative di produzione e lavoro di Legacoop del Lazio, Maurizio Giachi, sintetizza la crisi del settore delle costruzione. I numeri, per un comparto che da solo rappresenta il 32% del Pil regionale, sono da brividi: una riduzione del fatturato del 50 per cento dal 2008 ad oggi ed un’emorragia di posti di lavoro impressionante, 28mila in meno.

Una situazione al limite dice. Quando è iniziato il tracollo?

«Per certi aspetti la crisi a Roma e nel Lazio è iniziata prima che nel resto d’Italia. Per le gare d’appalto abbiamo avvertito un rallentamento burocratico causato dalle pubbliche amministrazioni: ci ha fatto perdere tante occasioni».

Ad esempio?

«Da 5 anni e mezzo il Comune di Roma ha la possibilità di costruire 13mila abitazioni, ma non ha le aree dove farlo. Sono bloccati qualcosa come 1,5 miliardi d’investimenti. Qui siamo all’anno zero».

Poi la crisi è arrivata…

«E ha accentuato questa situazione già critica. Tre anni fa c’erano 180mila lavoratori a libro paga, il 45% del totale del comparto industria. La media nazionale è del 28%. Il fatturato si è ridotto del 50% e da allora fino 31 luglio di quest’anno, sono 28mila i lavoratori che hanno perso il lavoro. Per la prima volta sono stati espulsi dal mercato del lavoro anche le strutture fisse delle aziende, quindi gli impiegati. È la prima volta che questo accade».

E gli appalti?

«Nel 2010, rispetto al 2009, sono diminuiti del 73% e nei primi sei mesi del 2011 questa diminuzione si è accentuata di un ulteriore 10%. Siamo al limite».

Quali sono le cause principali di questo tracollo?

«Sono abbastanza chiare: parlo del patto di stabilità che crea delle condizioni di immobilismo nella pubblica amministrazione che non sono più sopportabili. Sono vincoli anche curiosi, perché c’è qualche Comune ha qualche soldo da spendere, pochi a dire il vero, ma non può farlo. Inoltre non c’è nessuna politica per lo sviluppo. Le infrastrutture sono ferme, con un danno pauroso, penso alla Roma-Latina che è 30 anni che l’aspettiamo, l’Ostia-Civitavecchia e la Tirrenica. Non ci sono finanziamenti, si pensa solo a tagliare».

Con queste premesse, come si chiuderà il 2011?

«Sarà il peggiore. Le imprese stanno lavorando su budget acquisiti negli anni precedenti, poi magari slittati per questioni burocratiche. Finiti questi lavori, non ce ne saranno più e molte imprese saranno costrette a chiudere. L’occupazione credo continuerà a diminuire almeno fino al giugno 2012».

 

E l’anno prossimo ci sarà una ripresa, o ripresina?

«Non credo ci sarà alcuna ripresa. Lo Stato continua a non pagare, poi ci sono i vincoli imposti dal patto di stabilità, mancano i fondi e tutto si blocca. Possiamo dire che ora è l’impresa che sta supportando lo Stato. Dietro questo contesto ci sono tutti i limiti della pubblica amministrazione«.

Parla dei costi della politica?

«C’è una marea di sprechi, credo sia arrivato il momento di ridurre gli enti inutili, le società create dagli stessi enti che sono tutte in perdita. Critico soprattutto la mancanza di liberalizzazione dei servizi, come trasporti e rifiuti. Ci sono migliaia di lavoratori in queste società, lavoratori tra virgolette. Questa situazione non ce la possiamo più permettere. Forse potevamo ieri, ma non oggi e ancora di meno domani».

E quindi cosa si può fare?

«Dobbiamo ricominciare ad investire e la pubblica amministrazione deve diventare virtuosa, ma anche gli imprenditori devono migliorare. Credo che questo sia il momento di cambiare. E l’ingresso del capitale privato può darci la spinta, attraverso il project financing e il leasing in costruendo. I soldi inizieranno ad arrivare e le imprese progressivamente riprenderanno a lavorare: è necessario anche per fare quel salto di qualità imprenditoriale che manca. Da ora, mettere in cantiere tutto quello che è possibile, anche le piccole cose, per dare una boccata d’ossigeno alle imprese. Va razionalizzata la pubblica amministrazione, sia dal punto di vista di un alleggerimento burocratico che del risparmio delle spese. Via enti inutili, consulenti: sono tutti soldi che vanno rimessi sul mercato. Va rivisto il concetto di patto di stabilità, è una situazione che non regge, è solo una gabbia che non sostiene il rilancio, naturalmente facendo una distinzione fra investimenti utili e quelli no».

Crede che ci sia una mancanza di volontà politica?

«C’è sicuramente. La politica è più attenta in questo periodo all’interesse particolare che generale. Ma credo sia anche un problema culturale. Siamo abituati a convivere con un modello di gestione vecchio. Sembrerà assurdo, ma credo che questo sia il momenti ideale per le sfide. Dobbiamo pensare in grande, iniziare a progettare grandi opere, darci una svegliata. È l’unico modo concreto per attivare investimenti. Dobbiamo sfidarci a cambiare perché il sistema, così com’è, non regge più».

Avete cercato una sostegno nelle istituzioni?

«Certo , ma senza risultato. Tempo fa, insieme alle altre associazioni del settore, abbiamo inviato una lettera per chiedere la costituzione di un tavolo unitario e affrontare la crisi. Ad oggi, né il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, né la presidente della Regione, Renata Polverini, ci hanno risposto. Solo il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, ci ha dato un segnale».

Sabato, 01 Ottobre 2011 10:11

Clara D’Acunto

fonte: Il Corriere Nazionale