ITRI, L’UNIONE AGRICOLTORI ITRANI CONTRO L’ABBANDONO DEGLI OLIVETI E LA MOSCA OLEARIA

Notte d’inverno, una bomba d’acqua colpisce Itri: giù dalla montagna i detriti travolgono tutto e arrivano fino al cuore della città. Il versante protetto dalla vegetazione e dai numerosi uliveti tiene; l’altro, desertificato dagli incendi estivi, si trasforma in un ammasso di acqua, fango e macigni, frana giù con violenza, crea un tappo in un tunnel e infine, spinto dalla pressione, crolla giù per due valli e poi colpisce case e macchine. Niente vittime, si proclama lo stato di calamità naturale. Sono passati quattro anni eppure l’alluvione del 2021 non è un caso archiviato: ad ogni allerta meteo arancione si torna per un po’ ancora sfollati. Per i lavori di messa in sicurezza la Regione Lazio ha da poco stanziato 700 mila euro che saranno sbloccati, però, nell’aprile del 2025.
“L’alluvione ha distrutto i muretti a secco e i terrazzamenti della mia campagna, alcuni dei quali antichi. La nostra cooperativa, invece, per fortuna, non ha subito danni ma ci preoccupa il fatto che quegli eventi possano ripetersi e che sul territorio la vegetazione di parte delle valli sia incendiata con costanza, nella totale assenza di controlli che possano consentire di fare prevenzione o di intervenire subito. Il problema del dissesto idrogeologico unito a quello degli effetti del cambiamento climatico per questo territorio deve rimanere una priorità” racconta il presidente dell’Unione Nazionale Agricoltori Itrani (UNAGRI), Francesco Meschino. Tutto ciò avviene in un contesto in cui gli uliveti, in questa zona benedetti dalla presenza dell’itrana, ormai nota cultivar apprezzata anche all’estero, da tempo vengono abbandonati, mentre coloro che investono nell’olivicoltura diminuiscono e i giovani spariscono.

Nata dopo la guerra per ripartire dal valore della terra e da un simbolo di pace, l’olivo, l’UNAGRI si è formata attorno a un gruppo di agricoltori che hanno condiviso lo sforzo di costruire un proprio frantoio sociale, nel 1950, con l’idea di unirsi per non sottostare ai potentati locali rappresentati da quelle poche famiglie che disponevano di rari frantoi presenti nella zona e alzavano i prezzi per fare profitto sulle moliture di chi era costretto a rivolgersi a loro.

Dopo la fusione delle sette cooperative esistenti sul territorio, UNAGRI è arrivata a contare oltre 400 soci olivicoltori per un totale di 700 ettari, con un intervento importante anche contro l’abbandono degli oliveti con la conduzione diretta di 8 ettari per 1800 piante di olivo in affitto. “Oggi purtroppo i soci hanno superato i 65 anni. I giovani sono pochi e le persone più anziane non riescono a coltivare i terreni e li affidano a società spurie che non li curano e coltivano ma cercano di ricavare solo il prodotto, senza fare nemmeno le potature – racconta il presidente-. Se non li affidano a terzi è anche peggio perché li abbandonano. Servirebbe una iniziativa regionale che consenta ai giovani di recuperare i terreni abbandonati e di riceverli in comodato d’uso ma occorrono anche iniziative e finanziamenti a fondo perduto che sostengano nei primi anni di costituzione le cooperative nate da giovani” spiega Meschino.

Mentre alcuni olivi della zona superano i cento e i duecento anni di vita,  sopravvissuti anche alle guerre, questa corsa tra i secoli dell’Itrana sembra dover subire una battuta di arresto e il rapporto che da sempre ha legato Itri a questi alberi potrebbe incrinarsi e arrestarsi proprio a causa della carenza di manodopera e di nuovi soci.

 

La cooperativa, però, continua a pensare al futuro investendo in sostenibilità.

“Abbiamo partecipato a un progetto del PNRR che ci consentirà di avere un finanziamento al 50% di un impianto fotovoltaico pari a 80 metri che coprirà tutto il tetto del frantoio e ci consentirà di essere autonomi. A giorni verrà installato” dice il presidente. “Inoltre, ci impegniamo costantemente per insegnare ai nostri associati e ai clienti non associati come debbano essere effettuate le potature e come si usino i fitofarmaci affinché ci sia una produttività adeguata. Costantemente, effettuiamo monitoraggi sulla presenza della mosca olearia che interviene in caso di umidità e abbiamo una serie di aziende spia sul territorio che ci consentono di fare costantemente il punto e di agire con prodotti non invasivi per tempo” spiega.

Il cambiamento climatico, la siccità, il caldo eccessivo e le piogge, contribuiscono tutte in egual modo al calo di produzione. “Quest’anno c’è una grande carenza di olio. Per quanto il nostro sia di una qualità tale e una cultivar che ha un prestigio non indifferente che ci ha consentito di vendere il nostro prodotto a 18 euro al litro- racconta Meschino-. Noi riusciamo a vendere le olive Itrane, cosiddette di Gaeta, anche all’estero. Proprio ieri sono arrivate delle commesse dall’Olanda e dalla Svizzera- dice orgoglioso il presidente UNAGRI-. La legge sull’eno-oleoturismo della Regione Lazio è essenziale, in tal senso. All’interno di una DMO (Destination management organization) dell’Università di Cassino siamo riusciti a inserire il nostro frantoio nel circuito del Cammino di San Filippo Neri che arriva sino a Gaeta e ciò riteniamo possa essere importante per la promozione dell’oliva itrana”.
Il valore di questo prodotto, tra l’altro, è ancora tutto da scoprire e da valorizzare. La cooperativa UNAGRI ha da tempo avviato insieme a una nota associazione di odontotecnici un progetto di ricerca e promozione delle proprietà benefiche dell’olio prodotto da questa cultivar nel mitigare e guarire le gengiviti. “Abbiamo anche organizzato un convegno con l’Università di Roma Tre perché riteniamo questo rapporto con le Università e gli Istituti di ricerca sia fondamentale e che l’itrana debba essere ancora oggetto di attenzione e di studio” conclude il presidente dell’UNAGRI.