AGRICOLTURA, FLAMINIA VITA: “SERVONO RISPOSTE AI RINCARI”

Siccità e crisi climatiche, ma anche cinghiali e lupi, difficoltà di approvvigionamento delle materie prime e prezzi schizzati alle stelle: per l’agroalimentare nel Lazio le criticità sono tante. Ora che il problema del caro energia sembra evolvere nella direzione di una possibile soluzione, Flaminia Vita, Resp. tecnico settore Agroalimentare Legacoop Lazio, intervistata dopo La Conferenza cittadina agricola di Roma Capitale, avverte: “non è solo il costo della bolletta a pesare. Si registrano rincari per prodotti fitosanitari del +170%, il gasolio nelle campagne è aumentato di oltre il +100%, ma anche tutti i prodotti necessari per gli imballaggi hanno subito un cospicuo aumento: il vetro costa oltre il 30% in più, il cartone il 45%, fino al 70% in più la plastica. Il clima di fiducia non è positivo, perché su tutti questi altri fattori ancora non ci sono delle risposte o discussioni in atto. C’è una forte incertezza sul futuro”.

 

Pandemia, conflitto russo-ucraino, caro energia, inflazione: il presidente di Legacoop Lazio, durante la Conferenza cittadina agricola  di Roma Capitale, la ha definita la “tempesta perfetta”. Eppure sembra che durante gli stravolgimenti di questi anni l’agroalimentare abbia seguito inizialmente una curva ascendente per poi ripiombare giù. Corretto?

Penso che l’agroalimentare durante la pandemia abbia tenuto più di altri settori. Certo, andrebbe fatta una differenziazione per comparti perché, ad esempio, il florovivaismo e il vitivinicolo sono andati meno bene e la chiusura dei canali horeca, a causa del lockdown, ha fatto venire meno una importante fetta di profitto. Con la ripresa della vita “normale” ci si aspettava una stabilizzazione e la ripresa di quei settori più colpiti dell’agricoltura. E invece è arrivata la guerra che ha generato difficoltà di approvvigionamento delle materie prime, ha fatto schizzare alle stelle i prezzi di materie prime che già erano in crescita dalla fine del 2021, ha spinto a livelli record i prezzi dell’energia. Tutto questo, sommato all’inflazione (e a una dose di speculazione) che pesa sulle tasche dei consumatori, fa sì che i produttori agricoli siano schiacciati da una parte dall’aumento dei costi di produzione, che sono già compressi il più possibile per riuscire ad avere una minima redditività, dall’altra dalla necessità di vendere il loro prodotto a poco più del prezzo di produzione, ma non sempre, pena il non venderlo affatto. Nel Lazio, in aggiunta a queste problematiche di carattere nazionale, c’è anche il tema della fauna selvatica, in particolare di cinghiali e lupi che sono proliferati e stanno diventando un elemento di criticità sui quali si dovrebbe intervenire.

E quanto alla crisi climatica nella regione Lazio, invece?

Durante tutta l’estate si sono susseguiti appelli da parte delle organizzazioni agricole per intervenire a favore delle imprese agricole che a causa della siccità che ha colpito la Regione Lazio hanno perso parte della produzione. È notizia recente la dichiarazione di stato di calamità per le avversità legate alla siccità verificatasi dal mese di maggio nelle province di Frosinone, Latina, Rieti, Roma e Viterbo e i conseguenti danni per le aziende agricole dovuti alle perdite nelle loro produzioni. Il valore dei danni stimato dalla Regione è intorno ai 600.000€ nelle 5 province. Gli indennizzi ex post non sono mai la soluzione, perché quanto è accaduto potrebbe riverificarsi. Sarebbero necessari investimenti pubblici per quanto riguarda l’approvvigionamento idrico e che si diffonda sempre più l’agricoltura di precisione, permettendo uno sfruttamento delle risorse naturali mirato e senza sprechi. Temo che, come si è imparato a convivere con la pandemia, si debba imparare a prevenire e a convivere con eventi climatici estremi. Il sostegno delle autorità e dei fondi pubblici è fondamentale.

Se dovessimo mappare i danni dovuti alla siccità?

Una mappatura dei danni è difficile da fare perché la regione presenta tanti microclimi diversi che rendono anche le rese produttive diverse. I danni stimati dalla Regione dovuti alla siccità sono intorno ai 600.000€. A soffrire sono state le coltivazioni in pieno campo, dai cereali, che hanno visto rese molto più basse, ai prodotti orticoli e frutticoli il cui razionamento dell’acqua ha avuto conseguente più impattanti. Ad oggi sappiamo che la vendemmia, invece, nella regione è andata piuttosto bene, con aspettative di un prodotto di alta qualità; stesso discorso per la produzione olearia, nonostante i timori di stress idrico per le piante si prevede un andamento in controtendenza rispetto alla media nazionale in calo anche del 45%, e le drupe sono allo giusto stato di maturazione con aspettative di prodotto ottimo. Della siccità ha sofferto anche il comparto zootecnico, con prati pascoli a rischio e animali colpiti da stress da caldo. Questo per parlare solo della siccità, ma non dobbiamo tralasciare le bombe d’acqua che si sono abbattute nelle aree meridionali del Lazio a fine settembre che hanno causato ulteriori danni strutturali alle imprese.

Sembra che il capitolo caro energia stia per chiudersi. Le sue impressioni

Speriamo sia così, che almeno dal lato energetico si possa tirare un sospiro di sollievo. La mia impressione è che non ci sia anche da parte dell’opinione pubblica la reale comprensione dell’impatto dei costi in agricoltura. Oggi lo schiacciante aumento dei costi è il maggiore fattore di rischio, ciò può fare la differenza tra chi prosegue e chi decide di cessare l’attività agricola. Tuttavia, non è solo il costo della bolletta a pesare, a titolo di esempio si registrano rincari per prodotti fitosanitari del +170%, il gasolio nelle campagne è aumentato di oltre il +100%, ma anche tutti i prodotti necessari per gli imballaggi hanno subito un cospicuo aumento: il vetro costa oltre il 30% in più, il cartone il 45%, fino al 70% in più la plastica. Il clima di fiducia non è positivo, perché su tutti questi altri fattori ancora non ci sono delle risposte o discussioni in atto. C’è una forte incertezza sul futuro.

A Roma dopo 44 anni si è tenuta la Conferenza cittadina sull’agricoltura. Si è annunciato anche l’arrivo di un bando per le terre pubbliche. Come è stato accolto dalle cooperative?

L’Assemblea cittadina per l’agricoltura è stata un segnale importante di interesse dell’amministrazione capitolina per questo settore. Speriamo che questo non sia solo un manifesto ma si tramuti in azioni concrete per il rilancio dell’agricoltura e dell’agroalimentare laziale. Il bando per l’assegnazione delle terre pubbliche abbandonate è stato accolto con favore, perché permetterà di recuperare pezzi di aree agricole che rischiano di non essere più produttive e l’approccio con cui questi bandi saranno fatti, ovvero di stanziamento di fondi per gli aggiudicatari e della garanzia di canali di vendita per i prodotti delle aziende, fa auspicare un maggiore successo dell’iniziativa. Il bando è rivolto ai giovani under 40, perciò potrebbe essere un’occasione per avviare giovani cooperatori all’agricoltura. Tuttavia, è necessario garantire una redditività, altrimenti nessun giovane si avvicinerà mai all’agricoltura. Al tema della redditività, si affianca quello della dignità della vita in campagna, che troppo spesso è segnata da precarietà estrema e marginalità. Roma Capitale si spera intervenga in maniera importante per fermare quel fenomeno dello spopolamento delle campagne che porterà ad una riduzione dell’agricoltura romana, in primis, e laziale in meno di un decennio.

Sovranità alimentare: perché se ne torna a parlare e perché solo adesso?

È proprio notizia di questi giorni che il nuovo acronimo del Ministero sarà MASAF, Ministero delle politiche Agricole, della Sovranità Alimentare e Forestale, come affermato dal ministro Lollobrigida. Già in Francia il ministero dell’Agricoltura porta questo nome e dalle dichiarazioni del neoministro sembra sia stata quasi una fonte di ispirazione. Probabilmente si vuole dare un segnale di cambiamento, di un ministero che starà vicino ai produttori e che ne difenderà la qualità in Europa e nel mondo. Adesso, vista la situazione di crisi profonda in cui versa il comparto, sentire di avere un forte sostegno dalla politica potrebbe essere un segnale di “conforto”. Ma non basta un nome per risolvere i problemi. Necessario sostenere gli investimenti in agricoltura, procedere al rinnovamento strutturale e generazionale, rafforzare le filiere, sostenere l’aggregazione per raggiungere economie di scala ed essere più competitivi sul mercato, adoperarsi per abbattere i costi degli input produttivi, promuovere la qualità dei nostri prodotti anche in Italia facendo crescere la propensione del consumatore a spendere per acquistare ad esempio un olio evo di qualità, anziché quello in offerta a 3,90€. Ridare valore, non solo economico, a tutti i prodotti della nostra agricoltura. Perché, ci sono molti produttori che fanno qualità e investono nella qualità, ma senza un ritorno da parte del mercato fare qualità non è più conveniente e si rischia di perdere importanti pezzi di agroalimentare.