TANGRAM, LUOGO APERTO DELLA CURA

Non è solo questione di geometrie. Scomponendo un quadrato formato da sette parti di forma diversa, si possono ottenere infinite figure. Ciò che prima era smarrito, perché non visibile nell’immediato ad occhio nudo, si delinea e acquisisce una sua personalità. Per la mente non sono più triangoli, rettangoli e quadrati ma conigli, ballerine, transatlantici, persino cerchi.
All’improvviso ciò che si ha di fronte non è più un rompicapo. E’ solo necessario guardare bene, essere disposti a stravolgere la prospettiva e le regole della composizione, riconoscere una sua potenzialità a ciò che prima appariva solo un frammento.

E’ la filosofia del Tangram, un antico gioco cinese che ha dato il nome all’omonimo centro di riabilitazione ideato e gestito dalla cooperativa Idea Prisma ’82 a Roma. Centro diurno e ambulatorio sia per l’età evolutiva che per gli adulti, accoglie chi ha una disabilità intellettiva con problematiche complesse e doppia diagnosi, offrendo terapie individuali e di gruppo.

Che sia in forma semiresidenziale o ambulatoriale, la cooperativa mette in campo neuropsichiatri, assistenti sociali, fisioterapisti, educatori, psicologi e psicoterapeuti, operatori sociosanitari, logopedisti e terapisti della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva. E poi cerca di andare al di là della normale terapia e di aprirsi alla collettività.

“Lo abbiamo definito sempre come un luogo aperto della cura, intendendo evidenziare l’importanza di un posto che avesse al proprio interno persone altamente qualificate e in continuo aggiornamento ma che non vedessero l’intervento riabilitativo come chiuso e settario – racconta Carla Patrizi, presidente della cooperativa Idea Prisma ’82-. . Bisogna guardare alla persona e alla famiglia nella sua globalità, per questo spesso chiediamo una presa in carico della coppia genitoriale perché il cambiamento di un figlio che non si riesce ad accompagnare ha le gambe corte” continua.

Una struttura aperta, dunque, e fino a poco tempo fa persino con le porte esterne mai chiuse. “Il territorio deve entrare il più possibile nella nostra struttura e anche la terapia è talvolta fatta in luoghi aperti, non importa che siano piscine, palestre o altri dove si riunisce la collettività” aggiunge. Operazione affatto scontata, soprattutto quando si parla di disabilità intellettiva. “Sappiamo che è fondamentale creare iniziative che attivino la motivazione della persona – chiarisce Patrizi-. Un esempio è l’andare al bowling, che porta i pazienti in un contesto sociale dove è possibile fare amicizia. Un adolescente è diventato così bravo da vincere l’oro, ormai dieci anni fa, alle Ompiadi di Atene– continua-. E’ evidente quindi che si debba fare in modo che si riscoprano quelle competenze in più che ciascuno di noi ha e che consentono a chi ha una disabilità intellettiva di uscire fuori dal cerchio di colui che in certi luoghi ci deve essere solo portato”. Per ogni sforzo ripagato, altri sono rigettati dalla società. Il problema del reinserimento lavorativo, il più difficile ancora oggi, non è ancora stato risolto. In passato, era più semplice. “Di successo il lavoro con il WWF. Grazie a un protocollo di intesa, abbiamo dato vita a un progetto di inserimento lavorativo affiancato dalla nostra cooperativa sia sul piano psicologico che sul piano del sostegno alla relazione e alla creazione di competenze- ha spiegato la presidente-. Attualmente queste persone lavorano ancora come dipendenti del WWF”. Anche Coop e BRCO si sono dimostrati sensibili alla tematica. In generale, però, non è semplice andare al di là del mero tirocinio. Nel mondo aziendale sembra essersi creata una resistenza sempre più alta all’inserimento lavorativo per soggetti svantaggiati, in particolare se si tratta di persone con disabilità cognitiva.

Foto di protowink da Pixabay