CARING, LA COOPERATIVA CHE FA ASSISTENZA DOMICILIARE PREMIATA DALL’UNHCR

Finita nella rete di una falsa cooperativa, continua a crederci e ne crea una premiata dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. Caring è nata così: da una strada tracciata oltre i limiti di un vicolo cieco. Perché pur di non riconoscerle l’indennità di malattia, Marta viene licenziata in tronco e senza alcun altro motivo proprio quando deve iniziare le cure. E così affronta una battaglia legale mentre combatte per difendere la sua salute. Riesce a chiudere a testa alta tutte e due le partite. E poi? La sua voce interiore si trasforma in ispirazione, in lei si fa strada una idea e finalmente succede: ricomincia a vedere chiaramente il futuro. 

Riparte dalla sua lunga storia di apertura all’altro e dalla esperienza di solidarietà tracciata dalla madre, volontaria dedita ai bambini oncologici, per immaginare una cooperativa che si ispiri a una esperienza di cura e di reciproco sostegno che non abbia eguali. Non ha mai smesso di distinguere tra le false cooperative, nate per sfruttare una forma societaria tutelata dalla Costituzione e mascherare gli illeciti, e quelle vere, nate dall’aderenza a un autentico principio di mutualità e associate per difendere insieme la forza di una idea nata nel 1844.

Si costituisce così la cooperativa Caring, associata a Legacoop Lazio. Business oriented, per garantire lavoro e tutele ai lavoratori, certo; ma al contempo capace di incarnare i valori della cooperazione e dell’economia sociale. L’idea: sostenere chi vive sospeso nell’attimo in cui il margine del domani che verrà diventa sempre più ristretto. Fondare una cooperativa che stia accanto a chi giunge alla terza e quarta età, dunque, ma anche a chi non è autosufficiente e ha bisogno di sostegno a domicilio, con particolare attenzione alle patologie neurodegenerative. I primi clienti sono proprio quelli che abbandonano la falsa cooperativa e seguono Marta e gli altri cooperatori nella loro esperienza imprenditoriale, finalmente condivisa con altri soci e supportata dai suoi collaboratori.

“Ci rivolgiamo solo ai privati, al momento, anche se vorremmo aprirci al pubblico” racconta Marta Leopardo, oggi orgogliosamente legale rappresentante di una realtà premiata dall’Unhcr, in virtù della sua capacità di offrire lavoro, tutele, dignità e diritti ai rifugiati. E’ una impresa fatta da persone speciali che nel progetto della cooperativa si sono riconosciute e che ora fanno squadra. “In questo difficile cammino verso l’affermazione sul mercato di una realtà molto piccola e in un settore in cui la concorrenza non di rado è il nero, noi siamo supportati dalla presenza di operatori con qualità speciali: sono dotati di intelligenza emotiva, empatia, capacità di lavorare sul residuo cognitivo delle persone affette da patologia. I soci e i dipendenti, inoltre, vantano anni di esperienza nell’ambito della cura”.  Tra di essi, anche una professionista del settore che per venti anni ha goduto della stima e della compagnia di una personalità quale Rita Levi Montalcini e che ora ha scelto di lavorare per la cooperativa.

Le competenze necessarie per essere all’altezza di un settore così delicato sono tante. Tra i servizi offerti a Roma e provincia (ma non solo), ci sono l’assistenza sociale di base e socio sanitaria a domicilio ma anche ospedaliera, rivolta ad anziani e a persone con disabilità fisica o cognitiva.

Il premio dell’UNHCR? “Una bellissima soddisfazione – dice Leopardo – Nel 2022 siamo riusciti infatti a inserire lavorativamente cinque persone con permesso di soggiorno speciale, vale a dire richiedenti asilo e con protezione internazionale, ma in generale l’Agenzia ha riconosciuto il nostro impegno per la creazione di una società inclusiva” continua. Le storie umane che hanno lasciato un segno sono state tante.

“Ci tengo a ricordare che quando diciamo rifugiato spesso parliamo di architetti provenienti dal conflitto in Ucraina, di persone che hanno lavorato nei conservatori della Georgia, nelle università dell’Africa, di varie maestranze, e bisogna ricordare che il lavoro di cura in Italia e in Europa, nella sua accezione comune di badante convivente, è in mano a personale migrante”. Spesso si tratta di persone che nel loro paese avrebbero potuto aspirare a posti di lavoro di rilievo, se la situazione sociale, politica ed economica lo avesse consentito. Eppure, venuti in Italia, pur dovendo affrontare un lavoro che richiede umiltà e pazienza, diventano molto bravi e affrontano con grande serietà e umanità il loro nuovo compito.

“Di recente una delle nostre operatrici ha dovuto affiancare una signora che non stava granché male e aveva indiscutibilmente un carattere difficile. C’era bisogno di grande pazienza, e la nostra operatrice intanto ha imparato meglio la lingua italiana, si è fortificata inserendosi nel tessuto sociale romano, e poi a un certo punto ha detto: sono pronta per fare il mio lavoro. E’ una disegnatrice di abiti – spiega la presidente-. E’ partita in Italia da un lavoro molto umile ma con noi ha imparato a capire quali siano i suoi diritti, quale soddisfazione ci sia nel percepire uno stipendio, come si stia all’interno di una impresa e come funzioni l’inserimento lavorativo”. E racconta: “Talvolta faccio da garante alle badanti in Banca per la richiesta di un prestito. Ed è così che con noi scoprono che un contratto offre loro possibilità che altrimenti non avrebbero avuto. E per questo noi lavoriamo un po’ anche come fossimo un Caf, per informare i nostri soci e collaboratori anche in cose come la segnalazione di agevolazioni per le esenzioni o negli sconti per la tessera dei mezzi”.

“Fino ad ora la nostra cooperativa è cresciuta con il passaparola delle famiglie utenti, degli operatori e dei nostri collaboratori. Crediamo che seguire la nostra metodologia e rimanere coerenti sia fondamentale. Vogliamo continuare ad avere rispetto dell’ultima fase della vita, difficile soprattutto per i familiari – chiarisce Leopardo-. Io dedico molto tempo ad ascoltarli e non riesco mai a staccare o a non rispondere al telefono. Sarà che ho toccato e vissuto con mano i delicati equilibri di una famiglia quando si introduce una assistenza esterna, data l’esperienza personale con mia nonna che ci ha lasciato alla giovane età di 107 anni. Forse è anche per questo che nonostante le assistenze siano avviate continuo ad andare a trovare gli utenti per mantenere una relazione umana con utenti e familiari” riflette.

E l’idea che ha ispirato questa impresa Marta Leopardo la trasferisce bene quando dice: “Accompagnare chi è al termine della sua vita richiede grande lucidità e anche distacco perché le emozioni possono non consentirti di analizzare il momento e i reali bisogni e noi dobbiamo essere il riferimento non solo degli utenti ma anche delle loro famiglie. Quando vanno nel panico, noi siamo lì, come punti di riferimento, e a supportarli con la lucidità che viene meno quando le emozioni prendono il sopravvento“.

Talvolta, poi, i figli sono gelosi del rapporto che si crea tra i loro genitori e gli operatori. “Io spiego loro che per un genitore farsi vedere nella sofferenza dal proprio figlio è un’onta. E quando ci si lascia alle ultime riflessioni sulla vita è più semplice farlo con un perfetto sconosciuto che non con un figlio – spiega-. A un figlio non puoi proprio dire che hai paura di morire. Sta già soffrendo abbastanza” continua.

E nella sua voce si sente tutta la convinzione e la forza di chi deve far sopravvivere una impresa che segua questi valori su un mercato che spesso segue tutt’altre logiche.

Il nostro è un lavoro meraviglioso ed è un motivo in più per andare avanti nonostante le difficoltà – dice-. Ci sono stati momenti in cui le incertezze e le difficoltà ci hanno scoraggiati ma noi andiamo avanti con l’entusiasmo e la volontà di mettere in piedi nuovi progetti”.

Intanto, però, con la crisi le famiglie hanno una disponibilità economica sempre minore e la concorrenza diventa spesso il nero. “Abbiamo anche provato a introdurre il servizio di baby sitting ma è dura: non possiamo competere con il nero. Noi però abbiamo tanta passione e voglia di trovare soluzioni e troveremo una via per far crescere la nostra cooperativa, probabilmente è giunta l’ora di iniziare a fare attività di comunicazione e pubblicità” commenta.

Non solo lavoro sul campo. “Facciamo anche formazione: in particolare abbiamo animato un percorso con un’altra associata a Legacoop Lazio, la cooperativa Folias, e con Asinitas. Anche UNHCR ci ha invitato a partecipare a una piattaforma per l’orientamento. A livello europeo, infatti, la cura è data in mano ai migranti che sono persone che a livello emotivo hanno un peso enorme anche perchè devono trasferirsi nelle case degli italiani e devono migrare da situazioni molto difficili” dice. E, interrogata sulla situazione Ucraina, dice: “Sono aumentate le richieste di lavoro da parte di persone che già erano state in passato in Italia e che sono tornate appunto per candidarsi come badanti dopo lo scoppio della guerra e purtroppo, però, spesso il problema è che il rischio di burn-out è più elevato. Purtroppo, con persone con malattie neurodegenerative come l’Alzheimer ci vuole una grandissima professionalità ma anche una ottima tempra per non rischiare l’esaurimento” conclude.

Questo articolo fa parte di un approfondimento sui servizi offerti dalle cooperative attive nel settore socio sanitario e assistenziale nel Lazio e associate a Legacoop. Puoi leggere qui gli altri articoli già pubblicati in precedenza: La ValleIdea PrismaCarEcass,  Didasco, Al Parco , Nuova Sair

Foto di Sabine van Erp da Pixabay